The Krotoneser #51

Illustration by Cristina Maggio - SOVERETO.

Sovereto è quella canzone che conosci a memoria, la prima che ricordi mentre da bambino viaggiavi in macchina con il papà, e lui cantava. Quella che ancora oggi, quando la ritrovi, riesce a sorprenderti.

È sempre stato così. Un luogo che ti tiene, ma senza stringerti. Un posto dove si viene per stare soli e si finisce per sentirsi meno soli. Dove non hai bisogno dell’ombrellone, ti tuffi e torni all’ombra della pineta e i gigli crescono ovunque. Testardi, trasparenti.

Da bambino lo guardava dall’alto, il campeggio. Passavamo in macchina e lo vedevo un attimo, poi la strada scendeva e spariva tutto. Mi chiedevo cosa facessero là dentro, se c’erano gli indiani, se vivevano nelle tende.

Ora ho una foto per ogni estate, una foto su un’amaca fra le pinete di aghi di pino per lasciarsi precipitare. Cambiare prospettiva sul mondo e lo sguardo si perde nel cielo fra cornici di rami che perdono aghi di pino.

Aghi come urgenze che lasciano il segno, frammenti di vita che, pur avendo avuto il loro peso, finiscono per essere assorbiti dal tutto, dalla brezza dello Ionio più vero. Come quelle piccole scintille di angoscia che a volte ci accompagnano, affondano nell’humus, trasformandosi in qualcosa di organico, che non si perde, ma diviene parte del ciclo.

Come noi, destinati a diventare qualcosa di altro, a passare da un momento all'altro, da un posto all’altro con poche certezze. Sovereto è una di quelle per il resto procedere a tentoni per trovare interpretazioni nuove per quella vecchia canzone e per te.

*CORNICE NON INCLUSA